di William Shakespeare
riduzione e adattamento Angela Dematté
regia Andrea Chiodi
con Maria Paiato
e con Riccardo Bocci, Tommaso Cardarelli, Francesca Ciocchetti, Ludovica D’Auria, Giovanna Di Rauso, Giovanni Franzoni, Igor Horvat, Emiliano Masala, Cristiano Moioli, Lorenzo Vio, Carlotta Viscovo
scene Guido Buganza
costumi Ilaria Ariemme
trucco e parrucco Bruna Calvaresi
assistente alla regia Francesco Biagetti
assistente ai costumi Valentina Volpi
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Biondo di Palermo, Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Tutto il talento e la straordinaria forza di Maria Paiato incontrano il Riccardo III di Shakespeare. Un progetto desiderato dall’attrice veneta che prende ora vita grazie all’intesa con il regista Andrea Chiodi: una corrispondenza nello sguardo sul testo che vuole Paiato nei panni di Re Riccardo l'usurpatore, il genio cattivo, il tipo di uomo politico crudele, machiavellico, più volte preso di mira dal teatro elisabettiano. La sua sarà un’interpretazione del ruolo maschile che punta a restituire uno Shakespeare fedele all’originale.
“Ora l’inverno del nostro scontento è diventato gloriosa estate sotto questo sole di York”: è così che si apre la tragedia del Bardo, tra le opere più celebri, divisa in cinque atti, che racconta l’ascesa al trono e la repentina caduta del malvagio Riccardo, duca di Gloucester.
È l’ultima delle quattro opere della tetralogia minore di Shakespeare e conclude il drammatico racconto della storia inglese iniziato con l’Enrico IV parte I. Il Bardo la scrisse intorno al 1592, drammatizzando gli eventi storici avvenuti circa un secolo prima quando, al termine della Guerra delle due rose, il potere dei Plantageneti in Inghilterra fu sostituito dalla dinastia Tudor. Tali eventi, culminanti con la sconfitta di Riccardo nella battaglia di Bosworth Field nel 1485, erano ben noti a tutti gli inglesi del tempo di Shakespeare, e il pubblico si identificava con le fazioni politiche rappresentate in scena.
Al centro dell’opera sta la figura di Riccardo: in un fisico deforme, racchiude un'indomabile forza negativa, e la sua fedeltà al proprio destino suscita, nonostante la crudeltà del personaggio, un innegabile fascino.
Note di drammaturgia di Angela Dematté
Si sa che tutte le opere storiche dell’epoca elisabettiana avevano il compito di glorificare la dinastia Tudor - quella da cui poi sgorgò la vergine forte e pallida Elisabetta I - una famiglia di origine Gallese con il modesto titolo di conti di Richmond, vagamente imparentata con il ramo Lancaster dei Plantageneti. La tetralogia shakespeariana (le tre parti di Enrico VI e Riccardo III) non fa eccezione. E infatti alla fine del Riccardo III Richmond - antenato dei Tudor - arriva, splendido come il sole, a ripulire il bilioso medioevo della Guerra delle due Rose. Eppure, sappiamo bene che Shakespeare, mentre costruisce la trama che il popolo vuole, lavora assiduamente con l’ordito. I drammi storici non parlano che di affari di guerra e di famiglia. Sono affari tribali, in fondo. La prima sorprendente abilità di Shakespeare in questo testo eccezionale - che segna la fine di un mondo e ne inizia un altro - è di usare il linguaggio gentile dei suoi versi per traghettarci in un’altra dimensione, in un sistema di valori arcaico, viscerale. Ho provato un tale senso di reverenza nel ritradurlo e adattarlo da non riuscire a tagliarlo e lavorarlo se non con l’aiuto della regia. Tra i versi si muove innanzitutto la necessità di sopravvivere, il diritto a sopravvivere. “L’Amore mi ha rinnegato nell’utero di mia madre”, dice Riccardo nell’Enrico VI. Qui, nella pièce che porta il suo nome, Riccardo ritorna nell’utero e si fa madre (matrigna diremmo) di se stesso reclamando il diritto di “essere”: “Mi sono deciso a provarmi nella parte dell’infame”. Reclamando questo diritto l’infame non può che tendere trame e prologhi insidiosi per sopravvivere, unici strumenti che possiede. Tutto è lecito ad un bambino non amato, quale è stato Riccardo: si tratta di convincere chi di dovere, le due donne innanzitutto, lady Anna e poi Elisabetta e, fino ad un certo segno, Buckingham e la corte, a passare con lui il limite del lecito. Ma siamo sicuri che l’infame Gloucester non sia che il pretesto, la scusa per far emergere ciò che in ogni gerarchia di potere e di famiglia è presente? Cosa cerchiamo quando cerchiamo il potere? E cosa cerca l’autore costruendo la sua trama? Quando il linguaggio ha esplorato tutto il suo potere manipolatorio, quando il potere si ottiene cosa rimane dell’uomo? Un bambino ferito può mai amare e sentirsi amato?
Riccardo/Shakespeare sa che esiste una madre reale, che ancora vive. La Duchessa di York precipita il protagonista nel ventre, lo rinomina aborto. E così Margherita, unico personaggio che, conoscendo il mondo arcaico, può davvero evocarlo, guardarlo, sfuggirgli, rifugiarsi in un mondo ancora più antico (o futuro). Sono salvatrici e carnefici, come tutte le Grandi Madri. Conoscono altre leggi, ben più sapienti e crudeli di quelle che Riccardo crede di governare. Lì la parola non funziona più, il pensiero si disarticola, il bene vince il male vince il bene vince il male. E così, finalmente, precipitato nel caos, il deforme Riccardo soccombe, come deve essere. Splende il Sole e le ombre si diradano, la parola non ha più ambiguità: il brutto è brutto e il bello è bello. L’ordine ritorna, come il popolo desidera.
Note di regia di Andrea Chiodi
Affascinante, ironico, seducente, ma spaventosamente lucido, Riccardo è la manifestazione di un’anomalia dell’anima. Quando Maria Paiato mi ha chiesto di lavorare insieme su Riccardo III ho detto subito di sì, ma con il desiderio di non soffermarci sulla deformità ma sulla testa e sul cuore del personaggio che la sapiente scrittura di Shakespeare ci restituisce, non è la sua disabilità che mi interessa ma la sua ironia nella sua capacità di seduzione. Il male seduce da sempre e infatti ne siamo circondati. Forse che sia interessante capire come scovarlo, come scoprire dove si rintana questo male per combatterlo? È forse originato fin dalla nostra infanzia? Riccardo giocava da bambino? Era amato? Ecco, sono partito da queste domande per interrogarmi sul male e sulla sete di potere, così logoranti e inutili, anzi portatori solo di morte e divisione. Inoltrandoci nelle parole di Shakespeare, si è cercato di esplorare come sempre l’animo umano e il suo stare davanti a quel mistero che è l’uomo e la sua terribile sete di potere, quando null’altro lo compie o completa.