Il ricordo di Luigia Rizzo Pagnin, di Andreina Corso

Luigia Rizzo Pagnin è nata a Venezia, dov’è vissuta fino al 1962. Il suo impegno civile, si può dire, inizia durante la seconda guerra mondiale, ancora ragazza. Subito dopo la Liberazione è tra le prime donne in città ad attivarsi tra le fila dei militanti comunisti, in un ambiente predominato dagli uomini. Come tante veneziane e veneziani si è trasferita a Mestre (1962), e qui ancora vive. Insegnante di scuola elementare, dal 1976 al 1985 è stata Assessore all’Istruzione e alla Cultura nella Provincia di Venezia. Nel 1964 ha pubblicato per le Edizioni del Rinoceronte la prima raccolta di poesie, che s’intitola, da uno scritto di Gramsci, Il borghese agli agguati (riedita nel 1985 per il Centro Internazionale della Grafica di Venezia, con l’inserimento di due nuove raccolte: Le chitarre elettriche e Potere operaio. Prefazione di Marino Berengo); nel 1973 l’Unione Donne Italiane ha pubblicato Una tensione che dura (d’ispirazione femminista). La raccolta Lampada, accompagnata da una preziosa Prefazione di Bianca Tarozzi, è stata pubblicata nel 1990 (Edizioni La PRESS). Del 2004 è la raccolta Acqua Donna Poesia; mentre di quest’anno è la raccolta in dialetto veneziano L’oro del pensar, introdotta da una nota di Silvana Tamiozzo Goldmann. Le due ultime raccolte sono state pubblicate dal Centro Internazionale della Grafica di Venezia. La forza struggente degli affetti familiari, dell’amicizia e delle comunioni dello spirito, avvolgono la Poesia del bene che spalanca con semplicità il cuore lasciandoci attoniti e grati di inebriata malinconia. Ed è inevitabile, come ha scritto Silvana Tamiozzo Goldmann, nell’introduzione commossa di questo libro” avere davanti agli occhi la sua figura gentile e pensosa, il suo sorriso discreto”. E li vediamo i tuoi occhi attenti ad osservare il dentro del cuore di un bambino che sarà un tuo alunno per tutta la vita. Perché gli occhi dei bambini rimangono impressi, quando ci importa di loro. Hai colto i segni che abitano la vita e i suoi luoghi che son rimasti indelebili nella memoria del tempo. Segni tramutati in passi che portano al colore della voce, della voce che guarda, della voce ingoiata. Forse la Poesia ti ha catturata quando bambina hai visto tua madre “Corer sempre de qua e de là/ De tender tuto e tuto ciapar…/Ma de le volte de tanto in tanto /Se spalancava come un incanto /Co la botega la gera voda /E no i veniva a comprar la roba/ Ti ti scrivevi su la carta da risi /E mi là ociavo i to sorisi /Ghe i gera un sol in te la botega/ Mama poeta, mia mama vera. La poesia e la carta da risi. Il colore della copertina del tuo libro, la evoca, E non poteva essere che così, se i cuori che l’hanno creata appartengono, a Nicola Sene, presente nel libro con la sua incisione Mama e Fia e Silvano Gosparini, editori di grande e raffinata esperienza, curatori di libri stampati con i torchi, toccati e inventati da mani sapienti. Il Centro Internazionale della Grafica è la fucina di una Venezia che cura, protegge ed insiste con encomiabile testardaggine, nel trattenere in un unico impulso, la bellezza, la storia, la testimonianza artistica e sociale. E in quel respiro, la tua Poesia, Gigetta, Luigia Rizzo Pagnin, donna autorevole e sensibile, si inseriscono la fatica letteraria e il tuo vedere dentro, in fondo ai meandri dell’anima. E la tua vocazione poetica stremata nello sforzo di volerlo migliore questo mondo, di farlo migliore, questo mondo. Per trattenerlo nel pugno della mano, per difenderlo e dargli quiete. Per poi liberarlo, restituirgli la luce che illumina i gesti e le voci che consolano il tuo e nostro bisogno di verità.
Se improvvisamente mi ritrovassi bambina, ti direi timidamente, grazie di tutto Gigetta e ti bacerei la guancia. Ora che mi avvio alla terza età mi rintraccio ancora bambina. E con la stessa emozione che mi fa battere il cuore, ti dico, ti diciamo, grazie. E forte è l’abbraccio di chi ti ha voluto bene e che ora ti pensa resistente e consapevole in ogni cuore che batte.

A Gigetta

Nulla possono aggiungere le parole
al già detto del tuo capo chino,
alla forza velata del tuo sguardo
amico del mare
goccia e oceano
la tua parola incisa nel soffio
che raccoglie il respiro.
E gli dà riparo.

E la tua mano la sua movenza
rosa d’aprile in volo
una carezza lieve gusto miele
e onde calme
per l’orizzonte segreto
a trasformare il segno
in eternità.
Per volontà di pace.

Nel ricordo e nell’abbraccio, ora che “Gigetta” non c’è più, ma viva e necessaria è la sua presenza nel mondo, il mio ricordo, vissuto con il suo libro
L’Oro del Pensar di Luigia Rizzo Pagnin
Edito dal Centro Internazionale della Grafica

Te lo trovi fra le mani, lo culli con le dita quell’oro che il pensar raccoglie e addenta come pane croccante per saziare la fame, per colmare l’assenza invocata dalla nostalgia della tua parola. Parola che dice e che tace. “E mi persa/ Tra mar e mare/ E mi persa/ Tra mi e mi”. Ed eccola la tua voce lieve e pur ferma e determinata nel catturare i luoghi della mente che accolgono il dono “D’andar par i meandri del sarvelo/ In tel l’inferno/ Scoversando el cielo.
Ed ecco l’invisibile del cuore attraversare l’abbraccio universale di una parola seminata su terra di giustizia, scolpita sulla forza dell’indignazione, trafitta da uno sguardo pieno d’amore, in grado di scalare in silenzio chilometri di monti in salita. Non la dici la tua fatica, in un soffio la sfiori e ti danza fra le dita. Come la donna della tua poesia che svela Cossa che fa la dòna/ Cossa che i ghe fa a la dòna/ Cossa che la vorìa la dona: LA VORIA IN OGNI TERA / DARSE A L’AMOR/ RESTANDO INTIERA. Pensavo a quell’oro che ci hai dato in dono, mentre osservo un gabbiano che gira intorno alla finestra di casa mia. Mi pare si soffermi ad osservare il libro che sto leggendo, che tengo stretto fra le mani. Lui sa che è tuo perchè tua è anche la sua libertà, il tuo volo sereno, il guardare quieto, gli appartiene. E ora si posa sul camino e il cielo è rosa e oro. Ti vede al di là dell’acqua e ascolta la tua voce in Lontananza “ E mi che da Mestre / No sento…no sento/ Sto sigo de mare/ Che stua in lamento…Tornar Veneziana/ Mai più no se pol/ Mia mare me ciama/ Ma Mestre me vol…Rédote cussì/ restemo a scoltar/ Sto sigo de mare/ Che torna a ciamar.
E’ piaciuta la tua Poesia al gabbiano, lui come te, legge le pagine dell’acqua, lo sa anche il sole al tramonto che accompagna le sue ali a batter la tua porta. So che lo accoglierai. E gli darai un pane. Lo spezzerai con cura, perché t’importa che sia contento. Perché di lui ti senti responsabile, perché di lui t’importa. Perché di noi t’importa. Perché della città t’importa. Ricordi Gigetta? La città ci importa, avevi suggerito in un momento in cui la speranza dell’essere e dell’agire delle donne poteva “scoversar”, scoprire e ribaltare il senso del medicamento della vita. Viverla amando, lavorando e insistendo sulle ragioni del cuore, ci suggerivi, che sono anche le ragioni dell’intelligenza che spingono al nesso che rivela la luce. Per mostrarsi con riservata fierezza come quando Putèa salivi sul letto della mamma “El gèra cussì grando/ El leto de me mama/ Che qualche volta/ La me ciamava/ E…la me strucava/ Me pareva de star sòra del mondo/ me pareva d’andar / Fòra del mondo”.
Sopra il mondo e fuori del mondo, la Poesia non cerca pace né contemplazione. E’ fatta di pane, il gusto lo ha in sé. La tua Poesia è vigile, non si addormenta al canto delle parole, anche se talvolta è sommersa dalla vulnerabilità della dolcezza, la tua Poesia è ricerca, raccolto, testimonianza. Quarant’anni dopo il ’68, citi Pasolini e i giovani in corteo, “Ze fioi de contadini”, “Che de fame ga pianto bastansa/ la gera fame vecia de so pare
La gèra fame dal giorno ch’el zè nato/ Su la teta sfinia de la so mare”.

Andreina Corso

 

Ultimo aggiornamento: 18/01/2017 ore 12:55