#Dietrolequinte 5 - Oggetti, teche virtuali

Si è visto che la prima, fondamentale rete da tessere con cura, per setacciare e definire l’estensione e le qualità di un fondo fotografico, è quella dell’inventario. L’inventario è una specie di teca virtuale, dove il curatore dell’archivio mette a punto una strategia di ricomposizione dei pezzi di un mosaico smisurato, e per far questo è chiamato a fare delle scelte. Sotto le sue dita e le sue lenti, infatti, si affacciano oggetti di natura differente, comunicanti l’un l’altro attraverso una fitta rete di relazioni. Nell'intento di sbrogliare tali rapporti e tessere al meglio questa rete, come abbiamo visto, è necessario far dialogare tra loro quattro tipi di oggetti: 1) Le immagini, sotto forma di negativo o di positivo, che costituiscono il patrimonio del fondo; 2) Le buste che (quasi sempre) li contengono; 3) Le scatole, ossia le “navicelle” che han raccolto e protetto i materiali nel loro viaggio attraverso i decenni; 4) I registri e i taccuini.

Come si è visto, ogni scatola aperta per l’archivista rappresenta, in questa fase, l’opportunità di uno smistamento e ricollocazione delle informazioni utili per l’inventario. L’immagine porta con sé le informazioni sul supporto in cui è stata realizzata, vetro plastica o carta, sul suo stato di negativo o positivo, sulle sue dimensioni, piuttosto rigide per il vetro e molto più diversificate nelle pellicole; dà informazioni o indizi sulla natura del soggetto, offre dettagli sul proprio stato di conservazione.

La busta originale, disponibile in varie versioni, dal cosiddetto “pergamino” semitrasparente ad altri impasti di carta più o meno spessa, spesso non si rivela adeguata alla conservazione, anzi, favorisce in molti casi interazioni chimiche dannose con l’emulsione. Le buste offrono spesso il numero di lavorazione, un elemento decisivo che lega ogni scatto alle indicazioni del suo registro di riferimento, e quindi alla datazione; talvolta presenta altri appunti di grande utilità, per chiarire ad esempio il soggetto fotografato, o un committente preciso; poi c’è la scatola, anch’essa depositaria di indicazioni, ma con una finalità d’uso più pratica e meno decisiva per decifrare rapporti e corrispondenze. I registri, o “rubriche” sono una specie di libro di viaggio, dove sono ordinati i principali “dati anagrafici” delle foto, ossia l’anno di lavorazione e il committente. Il Giacomelli dispone di 19 rubriche, ora messe al sicuro in contenitori protetti, di cui è stata effettuata la digitalizzazione per poterne consultare gli indici senza danneggiarle; nei taccuini invece si trovano appunti più disordinati, qualche volta utili, specie quelli che attraversano le molteplici contingenze dei rapporti con i committenti e i destinatari delle stampe. La “teca virtuale” dell’inventario presenta quindi una serie di campi, dove sono collocate le informazioni ritenute necessarie. Il criterio adottato prevede un filo rigoroso di corrispondenza fra la disposizione dei contenitori sugli scaffali fisici dell’archivio e l’ordinamento numerico delle scatole sul file di destinazione; quindi, fissati i segnaposti con numero di scaffale e di scatola che collegano la collocazione reale a quella virtuale, entra in gioco il formato delle fotografie, che raggruppa gli scatti in righe separate e sottoinsiemi omogenei. I campi di questo tipo smistano i documenti nelle categorie di ricerca primarie, utili alla loro immediata rintracciabilità nel fondo e indispensabili a preparare il loro accorpamento successivo in nuove buste e contenitori, idonei a una corretta conservazione, di cui parleremo nella prossima puntata.

Ultimo aggiornamento: 24/09/2021 ore 12:13