Storia dell'Arsenale di Venezia

di Renzo Brugin
 
"Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani
ché navicar non ponno - in quella vece
chi fa suo legno novo e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece
chi ribatte da proda e chi da poppa
altri fa remi e altri volge sarte
chi terzeruolo e artimon rintoppa"

così scrisse Dante (Divina Commedia, canto XXI dell'Inferno)
che nel 1312 aveva potuto visitare l'Arsenale
 
Fasi Storiche

Le origini dell'Arsenale risalgono al primo potente sviluppo della città di Venezia all’inizio del secondo millennio.
Il termine Arsenale in uso nell’italiano moderno, deriva dall’arabo daras-sina’ah, cioè “casa d’industria” o “casa del mestiere”.
Il termine, noto ai veneziani tramite i loro frequenti contatti commerciali con l’Oriente, sarebbe passato al veneziano darzanà, poi corrotto nel tempo nella forma arzanà, quindi, attraverso arzanàl e arsenàl, alla forma finale di “arsenale”.
La forma darzanà e poi dàrsena è invece rimasta a indicare gli specchi d’acqua interni dell’arsenale e da tale uso è derivato il significato odierno del termine darsena.
L'arsenale di Venezia cronologicamente definito "vecchio" sorge indicativamente nei primi anni del XII secolo (la data precisa di fondazione convenuta nel 1104 è da ritenersi fittizia) lungo il rio della Madonna su due isole, tra la sede vescovile del Castello di Olivolo (l'attuale isola di San Pietro di Castello) e la sede Ducale e politica di San Marco.
Per ragioni di sicurezza fu posizionato in una zona retrostante rispetto al Bacino di San Marco.
Tale area era infatti strategica per la disponibilità di un grande spazio acquatico (lago del monastero di San Daniele) utilizzabile per futuri ampliamenti e perché poco più a nord si trovava il punto di arrivo delle zattere che dai boschi del Cadore e del Montello, utilizzando le acque primaverili del fiume Piave, trasportavano a Venezia il legname necessario alla costruzione delle imbarcazioni.
L’arsenale di Venezia fu costruito per l’esigenza di dare maggiore sviluppo alla cantieristica, un’attività strategica per la Serenissima, Repubblica marinara che si stava attrezzando per imporre il suo controllo in gran parte del Mediterraneo orientale.

 

Si suppone che inizialmente l’Arsenale “vecchio” comprendesse 24 scali, solo successivamente coperti da "tezoni", divisi da un bacino centrale e circondati da un muro difensivo.
Gli scali erano caratterizzati da un piano inclinato che poteva contenere la fabbricazione contemporanea di due imbarcazioni poste parallelamente l’una all’altra (primo esempio nel Mediterraneo ed in Europa).
Questo innovativo tipo di organizzazione anticipò di alcuni secoli il moderno concetto di fabbrica, luogo in cui le maestranze eseguono in successione operazioni specializzate di assemblaggio: esso rappresenta infatti l’esempio più importante di complesso produttivo accentrato della sua epoca.
La prima raffigurazione dell'Arsenale è comunque riferita alla situazione quale era agli inizi del XIV secolo ed è contenuta nella Chronologia Magna (o Compendium) compilata da Fra' Paolino da Venezia tra i primi decenni del '300 fino alla sua morte nel 1344.

 

Si tratta di un disegno medievale della pianta di Venezia di notevole importanza che riporta in sigla i nomi dei luoghi e delle chiese, ritrovata negli archivi della Biblioteca Marciana dall'architetto Tommaso Temanza nel 1763 e pubblicata utilizzando una incisione su rame nel 1780.

Secondo alcune deduzioni dell'architetto, la pianta si sarebbe riferita addirittura alla situazione esistente alla metà del XII secolo, ma studiosi moderni tra i quali Giorgio Bellavitis hanno contestato tale ipotesi di retrodatazione.

Tra il 1303 e il 1325 avvengono i primi ampliamenti di cui si abbia notizia, con l'apertura del canale delle Stoppare verso il cosidetto lago San Daniele, ampio specchio acqueo che fu scavato in profondità dando luogo alla darsena dell'Arsenale Nuovo, diventato bacino su cui si affacciano nuovi "tezoni" e officine cantieristiche tra cui i magazzini delle Corderie, l'officina dei remi, i depositi di pece e altri realizzati tra il 1310 e il 1350 (vedi Dante 1312 nell’incipit).

 

Di questi tezoni trecenteschi, ne rimane solo uno nella parte orientale dell'Arsenale sul lato sud di quello che era stato l’”isolotto”.

 

A sud della Darsena Nuova viene acquisita una larga fascia di terreno denominata “Campagna”.
All'inizio del XV secolo nell'Arsenale si costruiscono quasi esclusivamente galee da guerra o da trasporto mentre le navi commerciali tonde più capienti sono costruite in cantieri privati disseminati in tutta la città ma con una maggiore concentrazione a Castello.

 
Altri ampliamenti si susseguono lungo il XV secolo fino alla costruzione nel 1460 circa, lungo lo “Stradal de Campagna”, del nucleo d'origine della Sala d'Armi e della Sala d'Artiglieria, mentre lungo il lato sud occidentale si edifica la Porta da Terra, ingresso monumentale all'Arsenale ed infine nel 1476 si procede allo scavo e utilizzo della Darsena dell'Arsenale Nuovissimo.
Nel 1516 dopo gli eventi della lega di Cambrai e della Lega Santa riprendono i lavori all'Arsenale congiungendo con uno scavo le due darsene, la Nuova e la Nuovissima.
 
Nel 1539 si costruisce l'edificio della polveriera (che sarà danneggiato nella famosa l'esplosione del 1568 di cui mai si scoprì se fosse stata una atto di sabotaggio turco o un incidente) sugli orti acquisiti dal Convento della Celestia, e successivamente su questi stessi terreni viene scavato nel 1564 il canale delle Galeazze.
Nel frattempo nel 1544 si erano completate altre 16 tese sul lato nord.
 
Nel 1569 si completa l'edificazione delle mura a struttura merlata con torri di vedetta a pianta quadrata lungo tutto il perimetro dell'Arsenale, lo scavo della Darsena delle Galeazze e delle tese coperte (tre per riva contrapposte una all'altra) per la costruzione di un nuovo tipo di nave da combattimento: la Galeazza.

Nel 1571 la straordinaria vittoria nella battaglia di Lepanto contro la flotta ottomana è ottenuta grazie al decisivo contributo della flotta veneziana.

 

Le salve sparate dai cannoni laterali di medio calibro (nel totale circa quaranta) delle cinque Galeazze veneziane poste in testa allo schieramento, vengono ripetute fino a cinque volte prima dell'arrembaggio (quando normalmente non si superava la prima).

 

E’ un risultato ottenuto grazie agli innovativi sistemi di caricamento escogitati dagli artiglieri tedeschi da qualche tempo al servizio della Serenissima, che rompe la formazione turca e la demoralizza: nessuno mai prima di allora aveva subito una tale potenza di fuoco in mare aperto.
Si suppone che la preparazione di queste Galeazze sia stata la conseguenza imprevista dell’esplosione che nel 1568 arrestò la costruzione ex novo di nuovi vascelli, costringendo i veneziani ad adattare alcune imbarcazioni da trasporto alle funzioni di cannonierie.
 
 

Resta comunque il fatto che con la loro stazza, altezza e forma tondeggiante, tipica dalle galere da trasporto, le Galeazze approntate dalla Serenissima supportano agevolmente il rinculo dei cannoni anche sui fianchi, ed è con questo colpo di genio che viene raggiunto l'apice della supremazia tecnologica navale veneziana, anche se è bene far presente che la loro manovrabilità era appena sufficiente, tanto da dover essere posizionate al traino con l'ausilio di due galee ciascuna.

 

Il passo successivo, cioè l'avvento dei Galeoni a propulsione esclusivamente eolica, di stazza e pescaggio ben maggiori, sviluppati dagli spagnoli e subito imitati da inglesi e olandesi, vedrà la Repubblica segnare il passo.
I porti mediterranei prevalentemente a basso pescaggio, che non consentivano un agevole accesso ai Galeoni, costringendoli ad un eventuale trasbordo delle merci su imbarcazioni più piccole, nonché l'illusoria certezza che Galee e Galeazze potessero reggere il confronto anche in battaglia, consigliarono erroneamente i veneziani di non investire massicciamente sull'evoluzione tecnologica dei nuovi tipi di vascelli accumulando un ritardo incolmabile che li condannò ad una inevitabile decadenza.
Solo dal 1600 in poi infatti, la trasformazione della tecnologia navale costrinse i veneziani ad un conseguente adeguamento di tutte le strutture dell'Arsenale e allo scavo del fondale di bacini e canali in forza del maggior pescaggio dei nuovi vascelli.

Le Tese delle Galeazze non poterono comunque essere utilizzate per la costruzione dei Galeoni poiché il bacino antistante risultò troppo ristretto, tanto da non consentirne il varo.

Tra il 1579 e il 1585 circa si completa la ricostruzione delle nuove Corderie e nel 1591 si realizza l'ingresso monumentale alla Sala d'Armi e al Laboratorio di Artiglieria che conclude lo Stradal de Campagna.

 

Le successive aggiunte avverranno nel corso dei secoli fino all’esteso ampliamento postunitario verso oriente a nord della porta da mar, area dove vengono creati i moderni bacini di carenaggio.
L’interesse per l’aspetto architettonico del complesso è giustificato dall’imponenza e dall’articolazione della fabbrica, risultati di aggiunte sedimentatesi nell’arco di otto secoli.
L’arsenale si sviluppa su una superficie che, con le aggiunte più recenti, misura circa 478.000 m2 di cui 136.380 di aree coperte, 224.620 di aree scoperte e 117.000 di spazi acquei.
Tale superficie è pari al 15% dell’intera città, mentre il numero di lavoratori (gli arsenalotti) raggiungeva, nei periodi di piena attività produttiva, la quota media giornaliera di 1500-2000 unità con picchi di 4500-5000 iscritti nel Libro delle maestranze.
L’estensione, la morfologia e la tipologia degli edifici, fabbriche contenute nel recinto murario e collegate tra loro per contiguità, lo rendono un unicum tra gli arsenali storici ancora superstiti nell’intera Europa mediterranea d’epoca tardomedievale e moderna.
L’Arsenale di Venezia è stato di immensa importanza non solo nel periodo repubblicano, caratterizzato dalla produzione manifatturiera, ma anche nel corso dell’ottocento, cioè dopo la caduta della Repubblica, durante l’occupazione francese e austriaca ma soprattutto nel periodo postunitario quando si pensò di riconvertire la grande struttura in un insediamento di tipo industriale.

 

Immensa importanza non solo per la concentrazione di manodopera che nell’antico Arsenale, anche rispetto agli standard odierni si deve senz’altro ritenere considerevole, ma anche per la complessa articolazione della filiera manifatturiera, delle tecniche, delle arti insediate riconducibili alla costruzione navale e alla produzione bellica necessaria per esercitare e mantenere una prolungata egemonia sul mare.

 

 

Settori quali la metallurgia, l’artiglieria e l’evoluzione delle bocche da fuoco, nonostante il solido legame che li collega alla scienza e alla tecnica (in particolare alla balistica), alla chimica, alla meccanica e alle macchine, furono coltivati da alcuni appassionati cultori spesso isolati da un contesto storiografico più ampio.
L’arsenale di Venezia, come anche gli altri complessi manifatturieri o industriali destinati alla produzione degli armamenti di terra e di mare e di una certa tipologia navale, attivi nel periodo che va dal XV al XX secolo hanno mantenuto un carattere prevalentemente pubblico, vincolato e sottoposto all’autorità politica: infatti l’Arsenale era gestito direttamente da un organo istituzionale denominato Reggimento dell’Arsenale.

 

Gran parte degli arsenali, dal XVI al XIX secolo, hanno continuato a concentrare le loro attività tecniche nella stessa struttura produttiva opportunamente modificata e adattata alle esigenze navali e belliche che di volta in volta si presentavano, sempre nel solco di una tradizione che favoriva rapporti comunque svincolati da ogni forma di dipendenza dall’esterno.
Gli arsenali pubblici del passato provvedevano alla fornitura di materie prime, semilavorati e lavorati (legnami, metalli e tutti gli altri prodotti necessari all’armamento delle navi militari), con il sistema accentrato della commessa e dell’approvvigionamento diretto anche qualora fossero risultati particolarmente onerosi.
Sotto questo profilo è esemplare la gestione dell’Arsenale veneziano in antico regime, periodo in cui vigeva un rigido controllo e un’oculata gestione della “cassa”, confermando una tendenza che proseguirà, per motivi di bilancio, anche nella prima fase del periodo postunitario quando s’avviò l’attività industriale.

Le Tese delle Galeazze
La Tesa dove sono custodite le imbarcazioni da parata è una delle sei che furono completate nel 1569, denominate “delle Galeazze” che avevano dimensioni simili alle tese precedenti (20 metri x 60) ma un’altezza ed una inclinazione maggiori per permettere la costruzione delle alte fiancate delle Galeazze stesse.
Ma, facendo un passo indietro, la tipologia delle navi storiche della Serenissima Repubblica è ampiamente documentata sia nelle carte dell’Archivio di Stato sia nei testi a stampa.
Tale tipologia è varia, potendo includervi galee (dal greco galeos=squalo) a uno, a due fino a tre alberi dotati di relativo apparato velico, dal quale deriva una variazione dimensionale dell’imbarcazione.
Sotto il nome “galera” o “galea” erano raggruppati alcuni sottotipi, a seconda della funzione e delle dimensioni.
Le più importanti erano la galea sottile, la galea grossa da merchado e la galea bastarda, a metà strada tra la grossa e la sottile, che poteva ospitare il “Capitano Generale da mar”: in questo caso assumeva la funzione di unità di bandiera.
 

L’equipaggio della galea “sforzata” era formato da rematori, schiavi e forzati, che si alternavano con turni di 4 ore rimanendo sempre incatenati al banco di voga, risultando inservibili in caso di arrembaggio, mentre nelle galee dei “buonavoglia”, i volontari assoldati a stipendio potevano essere liberati in caso di battaglia: altri ruoli erano i capi voga, gli aguzzini, i musici, i barbieri-chirurghi, sacerdoti, i marinai, il nocchiere, il pilota, i soldati e i cannonieri mentre il comandante era detto “sopracomito”, in genere un aristocratico, coadiuvato da un “comito” di comprovata esperienza marinara.
Accanto a queste vi erano le galee capitane affidate ai «Capi da mar» ed infine anche le galeotte e le fuste, ambedue imbarcazioni leggere impiegate in battaglia e nelle operazioni di ricognizione.
In caso di necessità, come accadde nella battaglia di Lepanto, quasi tutte queste tipologie furono impiegate in battaglia.
A partire poi dalla seconda metà del XVI secolo comparve la galeazza, naviglio più grande e dotato di un certo numero di bocche da fuoco.
Attualmente questa tesa è utilizzata come magazzino di ricovero delle 10 imbarcazioni da parata dette “Bissone” (in veneziano “biscia grande” data la loro linea sottile e il fondo piatto) a 8 remi, dell’attuale ammiraglia, la “Serenissima” un’imbarcazione a 18 remi unica a fondo chigliato, e della Dogaressa una gondola a quattro remi leggermente modificata nelle dimensioni.
Tuttora fanno parte della flotta del corteo storico e sfilano lungo il Canal Grande in occasione della Regata Storica e in Bacino San Marco per la festa della “Sensa” (dell’Assunta con relativa cerimonia dello Sposalizio del mare).
Una tradizione quest’ultima che prevedeva il lancio da parte del Doge di un anello dal ponte superiore del Bucintoro nelle acque antistanti San Marco a simboleggiare l’unione della Serenissima con il Mare e il dominio sull’Adriatico, invocandone nel contempo la sua protezione.
In passato le imbarcazioni da parata più maestose furono infatti i “Bucintoro”, di cui ne rimane un unico esemplare originale costruito nel 1731 per i Savoia e recentemente restaurato ed esposto alla Venaria Reale di Torino.
Su di esso trovava posto il Doge con il suo seguito e un numero cospicuo di vogatori.

Le 10 Bissone attuali inoltre hanno nomi che richiamano gli addobbi e le finiture tematiche utilizzate: Veneziana, Bizantina, Cinese, Floreale, Pescantina, Geografia, Nettuno, Rezzonico, Querini, Cavalli, inoltre l’ammiraglia Serenissima e la Dogaressa.
Le attuali imbarcazioni da parata sono state costruite dal maestro d’ascia Giovanni Giuponi, fra gli anni 1958 e 1965, presso la Cooperativa Daniele Manin e decorate dall’intagliatore Federico Dal Santo.
La Serenissima è lunga 18 metri, ha 18 vogatori più un timoniere e ospita tamburini e trombettieri, le Bissone misurano in lunghezza 12,5 metri e sono portate da 8 vogatori mentre la Dogaressa è lunga 11,4 metri ha quattro vogatori e attualmente ospita nelle parate la figura del Doge e della regina di Cipro Caterina Cornaro che abdicò la corona in favore di Venezia cui cedette l’isola nell’anno 1489 ottenendo in cambio la signoria di Asolo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Notizie storiche e dati delle imbarcazioni ricavati dalla consultazione di materiali e volumi presenti presso: Archivio Comunale della Celestia, Biblioteca del Museo Correr e Biblioteca Nazionale Marciana.
 
Ultimo aggiornamento: 14/01/2022 ore 15:12